Con la sentenza in oggetto le Sezioni Unite della Cassazione hanno in primo luogo ribadito che il procedimento disciplinare nei confronti degli avvocati ha natura amministrativa nella fase davanti al consiglio dell’ordine, ma che, ciononostante, la lacuna dell’art. 45 del R.D.L. n. 1578 del 1933 che, nel prevedere la citazione dell’incolpato a comparire davanti a tale organo, non contiene la disciplina degli eventuali impedimenti, è colmabile analogicamente mediante la disciplina del codice di procedura penale relativa alla comparizione dell’imputato al dibattimento penale, del quale è previsto il rinvio in caso di assenza dell’imputato dovuta ad “assoluta impossibilità di comparire per caso fortuito, forza maggiore o altro legittimo impedimento”. Di talché l’impedimento che impone il rinvio dell’udienza è solo quello cogente in termini assoluti e che, alla stregua della valutazione del giudice, risulti positivamente in giudizio.
In secondo luogo, la stessa sentenza, nel ribadire che il procedimento disciplinare ha natura amministrativa nella prima fase (avanti al CDD), che si conclude con un atto che ha forma, natura e sostanza di provvedimento amministrativo, ha altresì chiarito che quest’ultimo atto, tuttavia, diviene poi il presupposto di un successivo procedimento di impugnazione avanti al C.N.F., che assume natura e funzione propriamente giurisdizionali, nel quale il giudice disciplinare è investito del potere di conoscere ogni aspetto della vicenda in contestazione e che pertanto, in rapporto alla natura giurisdizionale del procedimento dinanzi al C.N.F., a norma del R.D. n. 37 del 1934, art. 59 richiamato dalla L. n. 247 del 2012, art. 36, comma 2, il ricorso al Consiglio nazionale forense deve contenere l’indicazione specifica dei motivi sui quali si fonda; con la conseguenza che non possono proporsi motivi nuovi di impugnazione con atti successivi al ricorso e che i medesimi, se proposti, devono essere dichiarati inammissibili, anche d’ufficio.
A cura di Giovanni Taddei Elmi