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giurisprudenza

Sulla responsabilità professionale dell’avvocato (Cass., Sez. II, 16 febbraio 2016, n. 2954)

Nel caso in esame un avvocato citava in giudizio un ente comunale esponendo di aver ricevuto dallo stesso l’incarico di promuovere appello avverso 33 decisioni del Commissario per gli usi civici di Lazio, Umbria e Toscana, di aver diligentemente svolto l’incarico, di aver richiesto il pagamento del compenso e di aver ricevuto però un pagamento soltanto parziale del dovuto.
Il legale pertanto chiedeva la condanna dell’ente alla corresponsione della residua somma a saldo.
Si costituiva il Comune, il quale deduceva l’incongruità del computo della somma pretesa e formulava domanda riconvenzionale di risarcimento danni, sostenendo la responsabilità dell’avvocato per aver erroneamente individuato l’autorità giudiziaria competente per le impugnazioni proposte, ragione per la quale le stesse che erano state dichiarate inammissibili.
In primo grado il Tribunale condannava l’ente comunale al pagamento del legale e respingeva la domanda riconvenzionale.
Proposto appello da parte del Comune, il Giudice di secondo grado evidenziava che l’art. 2236 c.c. limita all’ipotesi di colpa grave la responsabilità professionale in caso di problema tecnico di speciale difficoltà, “che ricorreva nella specie quanto al giudice da adire”.
Il legale doveva infatti scegliere se procedere in sede di reclamo davanti alla Corte d’Appello o direttamente in Cassazione ai sensi dell’articolo 111 Costituzione, avendo il provvedimento impugnato statuito anche sull’esistenza dell’uso civico.
Il Giudice di secondo grado evidenziava altresì che la materia dell’uso civico non rientra tra quelle oggetto di preparazione all’esame di abilitazione e quindi l’avvocato non doveva per forza conoscerla bene.
Giungeva il caso davanti alla Suprema Corte di Cassazione, la quale giudicava infondati i motivi riferiti all’accertamento dell’asserita responsabilità del professionista, in quanto le obbligazioni inerenti all’esercizio di una attività professionale sono obbligazioni di mezzi e non di risultato.
Il professionista si impegna a prestare la propria opera per raggiungere il risultato desiderato dal cliente, ma non assume l’obbligo di realizzarlo.
Dunque “l’affermazione della responsabilità per colpa professionale implica una valutazione prognostica positiva circa il probabile esito favorevole dell’azione giudiziale che avrebbe dovuto essere proposta e diligentemente seguita”.
In altri termini l’inadempimento del professionista non può essere desunto dal mancato raggiungimento del risultato utile avuto di mira dal cliente, ma deve essere valutato alla stregua della violazione dei doveri inerenti allo svolgimento dell’attività professionale e, in particolare, del dovere di diligenza.
Tale dovere, regolato dall’art. 1176, comma 2, c.c., deve essere commisurato alla natura dell’attività esercitata, con la conseguenza che la diligenza che il professionista deve impiegare è quella media, cioè la diligenza posta nell’esercizio della propria attività dal professionista di preparazione professionale e di attenzione media.
Nel caso poi la prestazione riguardi problemi tecnici di particolare difficoltà (il cui accertamento è rimesso al giudice di merito ed il cui relativo giudizio è incensurabile in sede di legittimità) “la responsabilità del professionista è attenuata, configurandosi solo nel caso di dolo o colpa grave, con conseguente esclusione della responsabilità nell’ipotesi in cui nella sua condotta si riscontrino soltanto gli estremi della colpa lieve.

A cura di Silvia Ammannati