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giurisprudenza

Sulla rinuncia alla domanda congiunta di divorzio (Cass., Sez. VI, Ord., 2 maggio 2018, n. 10463)

Il caso affrontato nella sentenza in commento muove da una domanda congiunta di divorzio presentata da due coniugi, a cui fa seguito la sentenza di cessazione degli effetti civili del matrimonio concordatario pronunciata dal Tribunale.
Avverso tale sentenza propone appello il marito.
La Corte d’Appello respinge l’appello.
Il marito propone quindi ricorso per cassazione; la moglie resiste con controricorso.
Nel ricorso il marito si duole del fatto che la Corte d’Appello non avrebbe interpretato la normativa divorzile nel senso di favor per la conservazione del matrimonio, a fronte di condotte processuali delle parti significative in tal senso.
In particolare, il giudice di seconde cure non avrebbe sentito entrambi i coniugi anche al fine di tentare la conciliazione degli stessi, non avrebbe rinviato il procedimento a nuova udienza stante l’assenza giustificata da ragioni di salute del marito, non avrebbe tenuto conto della revoca del consenso al divorzio e della rinuncia alla relativa azione da parte della moglie e non avrebbe inteso la contumacia della moglie quale tacita adesione alla richiesta di annullamento della sentenza di primo grado avanzata dal marito con la proposizione dell’appello.
Si pronuncia la Corte di Cassazione osservando:
– che l’art. 4, comma 16, della L. 898/1970 (in tema di domanda congiunta di divorzio) prevede esclusivamente che i coniugi debbono essere sentiti, ossia che deve essere fissata una udienza per la loro comparizione personale, ma non prevede né il tentativo di conciliazione né l’adozione di provvedimenti provvisori ed urgenti, se non nella sola ipotesi in cui si ravvisi che le condizioni relative ai figli sono in contrasto con gli interessi degli stessi;
– che il giudice è tenuto ad effettuare un controllo solo esterno e formale attesa la natura negoziale dell’accordo dei coniugi;
– che nessuna violazione del contraddittorio deve ritenersi sussistente, una volta accertato dal giudice di secondo grado che il marito era stato messo più volte in condizioni di comparire, stante i ben otto rinvii dell’udienza di comparizione;
– che quindi nessun obbligo di concedere un ulteriore rinvio sussisteva in capo al Tribunale;
– che finanche nel divorzio giudiziale il tentativo di conciliazione è facoltativo;
– che, dal momento che la domanda congiunta di divorzio si richiama ad una iniziativa processuale comune e paritetica, la rinuncia alla domanda congiunta di divorzio è ammissibile solo se congiunta, con la conseguenza che è inammissibile una rinuncia unilaterale, quale quella della moglie,
– che non può annettersi alla mancata costituzione in appello della moglie il significato di una adesione implicita alla riforma della decisione del giudice di prime cure, non equivalendo la contumacia ad ammissione dei fatti dedotti da controparte.
La Corte di Cassazione rigetta quindi il ricorso, con condanna del ricorrente alle spese.

A cura di Silvia Ammannati