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giurisprudenza

Sulla sospensione dall’esercizio della professione per l’avvocato sfrattato dal proprio studio (C.N.F., Sent., 24 marzo 2021, n. 50)

La sentenza in commento prende le mosse dal caso di un avvocato al quale il COA di appartenenza aveva irrogato la sanzione disciplinare della sospensione per sei mesi dall’esercizio della professione forense per aver prelevato senza alcuna autorizzazione dall’Ufficio esecuzioni immobiliari del Tribunale, portato e trattenuto presso il proprio studio il fascicolo d’ufficio in cui il medesimo legale risultava costituito per il debitore nonché perché, nonostante fosse stato sfrattato dal proprio studio, non aveva sgomberato detto immobile e non lo aveva ancora riconsegnato al proprietario, così violando gli artt. 5,6,8 e 56 del CDF.
Il legale proponeva ricorso al C.N.F. avverso la decisione del COA di appartenenza.
Il CNF, investito della vertenza, statuiva che, correttamente, il COA di appartenenza del legale aveva ravvisato nel contegno assunto dal medesimo le violazioni deontologiche con la conseguente applicazione della sanzione della sospensione per 6 mesi.
Il comportamento dell’avvocato, infatti, deve essere adeguato al prestigio della classe forense che impone comportamenti individuali ispirati a valori positivi, immuni da ogni possibile giudizio di biasimo, etico, civile o morale.
Conseguentemente commette illecito deontologico l’avvocato che non provveda al puntuale adempimento delle proprie obbligazioni nei confronti dei terzi, atteso che tale onere è finalizzato a tutelare l’affidamento dei terzi nella capacità dell’avvocato al rispetto dei propri doveri professionali e la negativa pubblicità che deriva dall’inadempimento si riflette sulla reputazione del professionista ma ancor più sull’immagine della classe forense.

A cura di Silvia Ammannati