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giurisprudenza

Sull’avvocato amministratore di società che in tale veste usa espressioni offensive nei confronti di colleghi (Consiglio Nazionale Forense, Sent. 25 ottobre 2021, n. 178)

La sentenza in esame trae origine da un procedimento disciplinare, instaurato nei confronti di un avvocato per violazione (tra gli altri) dell’art. 52 del Codice Deontologico Forense, norma che vieta all’avvocato di utilizzare “espressioni offensive o sconvenienti negli scritti in giudizio e nell’esercizio dell’attività professionale nei confronti di colleghi, magistrati, controparti o terzi”.

L’incolpato era stato condannato dal competente Consiglio di Disciplina; tale decisione è stata impugnata dall’incolpato che, per quanto qui di interesse, ha valorizzato la circostanza che le espressioni offensive erano state utilizzate in una lettera “redatta su carta intestata della Immobiliare [ALFA], della quale era divenuto amministratore. Dunque, non si trattava di corrispondenza tra legali”.

Il CNF ha disatteso le difese dell’incolpato e affermato che “alcun rilievo scriminante può avere il fatto che le frasi siano contenute in uno scritto redatto in una veste diversa da quella di avvocato. Infatti: “l’avvocato ha il dovere di comportarsi, in ogni situazione (quindi anche nella dimensione privata e non propriamente nell’espletamento dell’attività forense), con la dignità e con il decoro imposti dalla funzione che l’avvocatura svolge nella giurisdizione (art. 9 cdf) e deve in ogni caso astenersi dal pronunciare espressioni sconvenienti od offensive (artt. 52 e 53 cdf), la cui rilevanza deontologica non è peraltro esclusa dalla provocazione altrui, né dalla reciprocità delle offese, né dallo stato d’ira o d’agitazione che da questa dovesse derivare, non trovando applicazione in tale sede l’esimente prevista dall’art. 599 c.p.” (CNF sentenza n. 202 del 15 ottobre 2020; in senso conforme, CNF sentenza n. 42 del 25 febbraio 2020 ).”.

A cura di Giulio Carano