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giurisprudenza

Sull’illecito disciplinare atipico (C.N.F., Sent. 8 aprile 2024, n. 125)

La sentenza in esame trae origine da un procedimento penale a carico di due avvocati; di tale procedimento veniva informato il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di appartenenza dei professionisti e, quindi, veniva aperto il procedimento disciplinare a carico degli stessi.

Agli avvocati veniva contestato, in estrema sintesi, di aver acquistato un bene immobile per un prezzo molto esiguo rispetto al suo valore, peraltro con modalità di pagamento del tutto anomale e, quindi, in danno della venditrice, soggetto non pienamente capace di comprendere le conseguenze del proprio agire.

In particolare, la venditrice – che avrebbe anche intrattenuto rapporti professionali con gli avvocati in questione – sarebbe stata poi sottoposta, successivamente, ad amministrazione di sostegno a causa della sua fragilità psicologica.

In un primo momento, il CDD ha prosciolto gli avvocati; avverso tale decisione ha quindi proposto impugnazione il COA.

Così, investito della decisione, il CNF ha ritenuto gli avvocati responsabili della violazione dei doveri di probità, dignità, decoro e indipendenza di cui all’art. 9 del Codice Deontologico (ex art. 5 Vecchio Codice Deontologico) e dell’art. 63 del Codice Deontologico (ex art. 56 Vecchio Codice Deontologico) in quanto, a prescindere dalla sussistenza di un rapporto professionale, “gli stessi, in ossequio al dovere di probità che deve contraddistinguere la condotta di un avvocato non solo nei rapporti con i clienti, ma anche in quelli con i terzi, non si sarebbero dovuti approfittare di tale stato della Sig.ra […] e non avrebbero dovuto stipulare con una persona che si trovava in una siffatta situazione il contratto di compravendita immobiliare in questione, il cui contenuto, come sopra rilevato, si rivela manifestamente penalizzante e iniquo per la Sig.ra […] medesima”.

Sul punto, il CNF ha quindi avuto modo di ribadire che “il principio di stretta tipicità dell’illecito, proprio del diritto penale, non trova applicazione nella materia disciplinare forense, nell’ambito della quale non è prevista una tassativa elencazione dei comportamenti vietati, giacché il nuovo sistema deontologico forense – governato dall’insieme delle norme, primarie (artt. 3 c.3 – 17 c.1, e 51 c.1 della L. 247/2012) e secondarie (artt. 4 c.2, 20 e 21 del C.D.) – è informato al principio della tipizzazione della condotta disciplinarmente rilevante e delle relative sanzioni “per quanto possibile” (art. 3, co. 3, cit.), poiché la variegata e potenzialmente illimitata casistica di tutti i comportamenti (anche della vita privata) costituenti illecito disciplinare non ne consente una individuazione dettagliata, tassativa e non meramente esemplificativa. Conseguentemente, l’eventuale mancata “descrizione” di uno o più comportamenti e della relativa sanzione non genera l’immunità, giacché è comunque possibile contestare l’illecito anche sulla base della citata norma di chiusura, secondo cui “la professione forense deve essere esercitata con indipendenza, lealtà, probità, dignità, decoro, diligenza e competenza, tenendo conto del rilievo sociale e della difesa e rispettando i principi della corretta e leale concorrenza”.

A cura di Giulio Carano