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giurisprudenza

Tra l’avvocato e i suoi collaboratori può intercorrere un rapporto di lavoro subordinato (Cass., Sez. IV, 10 settembre 2019, n. 22634)

Con la sentenza in commento la Corte di Cassazione, affronta il tema della natura giuridica del rapporto di lavoro intercorrente tra uno studio legale e i suoi collaboratori.

E’ bene premettere che nel caso di specie il collaboratore riconosciuto a tutti gli effetti dipendente dell’avvocato dominus dello studio, all’epoca dei fatti, non aveva ancora il titolo d’avvocato.

Tanto premesso la Suprema Corte di Cassazione conferma il proprio costante orientamento in tema di qualificazione giuridica dei rapporti di lavoro formalmente autonomi, secondo cui che costituisce elemento essenziale, come tale indefettibile, del rapporto di lavoro  subordinato, e criterio discretivo, nel contempo, rispetto a quello di lavoro  autonomo, la soggezione personale del prestatore al potere direttivo, disciplinare  e di controllo del datore dì lavoro, che inerisce alle intrinseche modalità di  svolgimento della prestazione lavorativa e non già soltanto al suo risultato. Specifica poi che in relazione alla qualificazione come autonome o subordinate delle  prestazioni rese da un professionista in uno studio professionale, la sussistenza o meno della subordinazione deve essere  verificata in relazione alla intensità della etero – organizzazione della prestazione,  al fine di stabilire se l’organizzazione sia limitata al coordinamento dell’attività  del professionista con quella dello studio, oppure ecceda le esigenze di coordinamento per dipendere direttamente e continuativamente dall’interesse  dello stesso studio, responsabile nei confronti dei clienti di prestazioni assunte  come proprie e non della sola assicurazione di prestazioni altrui.

Nel caso di specie, si conferma la natura subordinata del rapporto di lavoro intercorso, valorizzando i seguenti elementi di fatto: a) Tizio  lavorava all’interno dello studio dell’avv. Caio, b) aveva rapporti con clienti non  suoi c) Tizio, svolgeva un’attività che non poteva esercitare in proprio  perché privo del titolo di avvocato, di cui l’avv. Caio assumeva  necessariamente la paternità, d) Tizio riceveva dal titolare dello studio costantemente  direttive, in particolare nelle riunioni serali quotidiane in cui venivano esaminate  tutte le pratiche trattate e dettate indicazioni sull’attività da svolgere il giorno  seguente.

Per tali ragioni veniva rigettato il ricorso per cassazione proposto dall’avvocato Caio e confermate la statuizione di merito.

A cura di Silvia Ventura.

 

Allegato:
22634-2019