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giurisprudenza

Validità del patto di quota lite (Cass., Sez. II, Sent., 5 ottobre 2022 n. 28914)

La pronuncia in commento ha avuto origine dal ricorso in sede monitoria fatto da due avvocati per il pagamento delle proprie spettanze professionali fondantisi su un patto di quota lite contenuto in una scrittura privata del 2009 che prevedeva in favore dei due codifensori il 15% della somma riconosciuta a titolo di risarcimento del danno da morte del congiunto.

Il Tribunale, pur ritenendo valido il patto a norma dell’art. 2223 c.c. e 45 del Codice di deontologia Forense, lo valutava iniquo perché le misure dei compensi da riconoscere ai professionisti risultavano sproporzionate rispetto alle tariffe di cui al dm n. 140/2012.

Gli opponenti ricorrevano in Cassazione insistendo per la nullità del patto di quota lite a causa del contrasto con il principio di correlazione tra prestazione e adeguatezza necessaria del compenso.

La Suprema Corte rileva che il patto in questione si colloca dopo l’entrata in vigore dell’art. 2, comma 1, lettera a), del d.l. n. 223 del 2006, che ha abrogato le norme sul divieto di pattuire compensi professionali parametrati al raggiungimento degli obiettivi perseguiti, prevedendo però al contempo che il compenso convenzionale non deve violare il criterio di adeguatezza e proporzionalità rispetto all’opera prestata, e la L. n. 247 del 2012.Nel medesimo intervallo temporale viene in rilievo l’art. 45 del codice deontologico forense nel testo modificato nel 2007, a norma del quale l’avvocato può pattuire con il cliente compensi parametrati al raggiungimento degli obiettivi perseguiti, fermo il divieto dell’art. 1261 c.c., ma sempre che gli stessi compensi fossero “proporzionati all’attività svolta”.

In ordine all’addotta nullità del patto la Corte precisa che la violazione delle regole deontologiche non rendono la prestazione illecita né rendono nullo il mandato conferito al libero professionista, che ha così diritto alla remunerazione delle attività svolte.

Alla fine di una complessa disamina della normativa e delle giurisprudenza in materia la Suprema Corte giunge quindi ad affermare il principio di diritto per cui “il patto di quota lite, stipulato dopo la riformulazione del terzo comma dell’art. 2233 c.c. operata dal d.l. n. 223 del 2006, convertito in legge n. 248 del 2006, e prima dell’entrata in vigore dell’art. 13, comma 4, della legge n. 247 del 2012, che non violi il divieto di cessione dei crediti litigiosi di cui all’art. 1261 c.c., è valido se, valutato sotto il profilo causale della liceità e dell’adeguatezza dell’assetto sinallagmatico rispetto agli specifici interessi perseguiti dai contraenti, nonché sotto il profilo dell’equità alla stregua della regola integrativa di cui all’art. 45 del codice deontologico forense la stima tra compenso e risultato effettuata dalle parti all’epoca della conclusione dell’accordo non risulta sproporzionata per eccesso rispetto alla tariffa di mercato, rispondendo lo scopo di prevenire eventuali abusi a danno del cliente e di impedire la stipula di accordi iniqui alla tutela di interessi generali”.

Pertanto, accoglie il ricorso degli opponenti e cassa con rinvio.

A cura di Corinna Cappelli