La sentenza in esame trae origine da un complesso esposto proposto nei confronti di un avvocato, avente ad oggetto numerose violazioni del codice deontologico forense.
Per quanto qui di interesse, veniva contestata al professionista, tra l’altro, l’aver:
– compilato e versato, sul proprio conto, assegni per € 75.000,00, ricevuti dal proprio cliente “violando l’impegno assunto nei confronti della parte assistita di provvedere egli stesso a compilarli ed a versarli nelle casse sociali della [AAA] spa, di cui lo stesso avv. [RICORRENTE] era componente del Consiglio di Amministrazione”;
– richiesto e ottenuto, dal proprio cliente, un prestito a titolo personale di una cospicua somma (€ 65.000,00) che – dall’istruttoria svoltasi dinanzi al Consiglio di Disciplina Distrettuale e dalle risultanze del giudizio dinanzi al CNF – non risultava essere stata mai restituita.
Il C.D.D. aveva irrogato una sospensione complessiva di due anni dall’esercizio della professione.
In sede di impugnazione, il CNF ha ridotto la sanzione irrogata in ragione della intervenuta prescrizione di alcuni ulteriori illeciti (rispetto a quelli sopra indicati), ma ha confermato la sanzione in relazione alle condotte sopra richiamate, in quanto consistenti (anche) nella violazione dell’art. 23, comma 3, del Codice Deontologico Forense, secondo cui “l’avvocato, dopo il conferimento del mandato, non deve intrattenere con la parte assistita rapporti economici, patrimoniali, commerciali o di qualsiasi altra natura, che in qualunque modo possano influire sul rapporto professionale (…)”.
Peraltro, sul punto, il CNF ha osservato che “tutti gli illeciti innanzi richiamati non sono mai cessati, stante la mancata restituzione delle rilevanti somme indebitamente percepite dal ricorrente, il che, come chiarito dalla giurisprudenza domestica, integra illecito permanente”.
A cura di Giulio Carano