La vicenda nasce dall’impugnazione proposta da un Collega davanti al CNF avverso la sanzione della censura comminata dal CDD nei suoi confronti a seguito della richiesta, sproporzionata ed eccessiva, di liquidazione dei propri compensi avanzata per l’attività svolta in qualità di difensore d’ufficio in un procedimento penale.
Secondo il CNF, a prescindere dalla buona fede invocata dall’Avvocato nella compilazione della notula, l’attenzione e la diligenza cui è sempre tenuto il professionista devono essere ancora più rigorose e puntuali nelle attività connesse al munus pubblico di difensore d’ufficio, nonché nella conseguente richiesta di pagamento all’erario di compensi. A parere del CNF, l’istanza di liquidazione dei propri compensi rivolta all’erario, che sia assolutamente sproporzionata rispetto all’attività svolta, integra il comportamento contrario a correttezza e lealtà che ciascun Avvocato, ai sensi dell’art. 19 CDF, deve tenere nei confronti delle istituzioni forensi e, a maggior ragione, nelle richieste al Consiglio dell’Ordine di opinamento sui compensi professionali. A ciò si aggiunga che la condotta delineata come deontologicamente illecita dall’art. 29 co. 4 CDF, secondo cui l’Avvocato non deve richiedere compensi o acconti manifestamente sproporzionati all’attività svolta o da svolgere, si manifesta chiaramente nel caso di specie con riguardo al dato oggettivo dell’importo richiesto, palesemente sproporzionato in relazione all’attività svolta come difensore d’ufficio per una sola udienza di mero rinvio.
Al contrario, il CNF accoglie il ricorso presentato dal Collega in relazione alla sanzione irrogata, attenuando la censura comminata dal CDD, in quella dell’avvertimento.
A cura di Costanza Innocenti