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parere

Avvocato. Conflitto di interessi tra clienti. Inammissibilità di una duplice assistenza.

E’ stato chiesto se è configurabile un conflitto di interessi ex art. 37 del Codice Deontologico qualora un avvocato, che abbia assistito un primo cliente in una causa promossa contro la Curatela del fallimento di una Società per ottenere la risoluzione del contratto di vendita di un bene che detto cliente aveva venduto prima del fallimento alla Società poi dichiarata fallita e che nel corso della procedura fallimentare abbia per detto primo cliente proposto reclami contro la Curatela avverso i provvedimenti del Tribunale Fallimentare, dopo che il giudizio di primo grado è stato definito con il rigetto della domanda del primo cliente possa assumere il mandato da parte di tale primo cliente per impugnare la sentenza di primo grado contro la Società, che era stata dichiarata fallita ma che nel frattempo è ritornata in bonis ed è anch’essa sua cliente.
Il Consiglio dell’Ordine ha precisato che l’articolo 37 del Codice Deontologico Forense dispone espressamente che l’avvocato ha l’obbligo di astenersi dal prestare attività professionale quando questa determini un conflitto con gli interessi di un proprio assistito.
Nel caso di specie non è stato chiarito se il primo cliente sia socio della Società e/o quali siano gli eventuali rapporti in essere tra lui e la Società medesima, ma, in ogni caso, è ovvio che la proposizione dinanzi alla Corte d’Appello di un’impugnazione avverso una sentenza del Tribunale, che ha visto nel giudizio di primo grado la parte, la cui domanda sia stata rigettata, soccombente rispetto all’altra parte, determina anche nel giudizio di appello una contrapposizione tra le parti stesse, che si traduce necessariamente in un conflitto di interessi tra le medesime e, dunque, tra l’appellante e l’altro soggetto contro cui l’appello viene proposto (ovverosia la Società ritornata in bonis);.
Non è, quindi, ammissibile che entrambe le parti contrapposte in un giudizio di appello (appellante e appellato) siano assistite dallo stesso difensore (anche se nella formulazione del quesito non è espressamente precisato se l’avvocato assumerebbe formalmente pure il mandato per difendere nel suddetto giudizio di appello la Società, ma il richiamo nel quesito medesimo all’art. 381 Cod. Pen. lascerebbe presumere che proprio di questo stiamo parlando e, comunque, non vi è dubbio che la sussistenza dell’inammissibilità di una duplice assistenza, ai fini deontologici, così come ai fini della configurazione di una condotta illecita, deve essere valutata sotto il profilo sostanziale, indipendentemente dagli aspetti meramente formali).
Quanto alla possibilità di mantenere i due mandati con il consenso di entrambi i clienti, detto consenso delle parti di per sé non costituirebbe un’esimente qualora il conflitto di interessi si realizzi effettivamente, perché la norma è diretta a tutelare non solo le parti stesse ma anche il principio di lealtà e di correttezza della professione.
Inoltre, qualora entrambi i mandati siano anche espressamente formalizzati nel giudizio di appello, l’esistenza del conflitto, se pure solo potenziale, potrebbe determinare, giuridicamente, l’invalidità del secondo mandato, dato che la giurisprudenza della Suprema Corte ha affermato che la costituzione in giudizio di più parti per mezzo di uno stesso procuratore è valida solo quando fra le stesse non sussista un conflitto di interesse, ragione per cui, ove il conflitto sussista, l’avvocato, in caso di rilascio di due mandati separati, esporrebbe il secondo dei clienti che gli avrebbe conferito il mandato in ordine di tempo al grave pregiudizio di avere rilasciato un mandato invalido.