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Lapo Mariani

parere

Avvocato: il divieto di mettersi in contatto diretto con la controparte che sappia essere assistita da altro collega di cui all’art. 41 c.d.f. incontra espressa eccezione laddove il terzo comma del medesimo articolo indica una serie di casi in cui l’avvocato può indirizzare corrispondenza direttamente alla controparte. Elenco, questo, che le Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione non hanno ritenuto tassativo.

È stato chiesto un parere in merito alla sussistenza della violazione dell’art. 41 c.d.f. da parte dell’avvocato che invii lettera alla controparte con la quale, unitamente alla sottoscrizione della propria assistita, comunichi le intenzioni della stessa di divorziare, chiedendo di essere contattato dai legali di fiducia per verificare la disponibilità al deposito di un ricorso condiviso.

 

Risposta al quesito

1. Norme rilevanti e giurisprudenza. Viene in rilievo l’art. 41 comma del Codice deontologico forense (c.d.f.).

Stabilisce l’art 41 del c.d.f. che:

“1. L’avvocato non deve mettersi in contatto diretto con la controparte che sappia assistita da altro collega.

2. L’avvocato, in ogni stato del procedimento e in ogni grado del giudizio, può avere contatti con le altre parti solo in presenza del loro difensore o con il consenso di questi.

3. L’avvocato può indirizzare corrispondenza direttamente alla controparte, inviandone sempre copia per conoscenza al collega che la assiste, esclusivamente per richiedere comportamenti determinati, intimare messe in mora, evitare prescrizioni o decadenze.

4. L’avvocato non deve ricevere la controparte assistita da un collega senza informare quest’ultimo e ottenerne il consenso.

5. La violazione dei doveri e divieti di cui al presente articolo comporta l’applicazione della sanzione disciplinare della censura.”

Tali principi sono stati messi in evidenza più volte dal Consiglio Nazionale Forense nelle proprie sentenze, in quanto all’avvocato è precluso contattare o ricevere la controparte senza il consenso del collega avversario.

Così il C.N.F. nella sentenza n. 236 del 23 dicembre 2017:

“L’avvocato deve astenersi dall’indirizzare la propria corrispondenza direttamente alla controparte, che sappia assistita da un Collega, salvo per intimare messe in mora, evitare prescrizioni o decadenze, ovvero richiedere determinati comportamenti di natura sostanziale, ma in tali casi deve sempre inviare una copia della missiva stessa al Collega per conoscenza. La violazione di tale disciplina costituisce illecito disciplinare a prescindere dalla prova di un danno effettivo alla controparte”  e ancora “Pone in essere un comportamento deontologicamente rilevante l’avvocato che, senza avvisare il collega difensore, contatti direttamente la controparte invitandola ad una incontro per la definizione della controversia, riceva la parte nel proprio studio senza la presenza del difensore e non avvisi il collega dell’accordo transattivo raggiunto dalle parti stesse in sua presenza o che intrattenga rapporti diretti di corrispondenza con la controparte assistita da altro legale, senza indirizzare a quest’ultimo copia della stessa”.

La ratio della norma è per il Consiglio Nazionale Forense “quella di riconoscere all’Avvocato la funzione di esclusivo referente del proprio assistito, al fine di preservarlo da eventuali comportamenti inappropriati e sleali della controparte”. (Così il C.N.F. nella sentenza n. 49 del 29 aprile 2017)

Tuttavia, il comma 3 dell’art. 41 indica una serie di casi in cui l’avvocato può indirizzare corrispondenza direttamente alla controparte; ebbene, tale elenco non è da considerarsi tassativo per le Sezioni Unite della Corte di Cassazione che così si sono espresse:

“Sia nel codice deontologico relativo alla professione forense previgente, che in quello attualmente in vigore, l’elencazione delle eccezioni al divieto di inviare direttamente corrispondenza alla controparte ha una portata meramente esemplificativa, rientrandovi anche le ipotesi, non specificamente previste, nelle quali il collega della controparte sia stato informato o la corrispondenza sia stata inviata anche a lui e non siano rilevabili elementi idonei a denotare una mancanza di lealtà e correttezza nell’operato del mittente o nel contenuto della corrispondenza. Tra dette eccezioni va, pertanto, ricondotto l’invio di una lettera raccomandata alla controparte, nella quale – senza richiedersi alla stessa il compimento di determinati comportamenti – siano fornite informazioni di fatti significativi nell’ambito dei rapporti intercorsi tra le parti, come l’avvenuto pagamento del debito da parte dei propri assistiti, posto che una simile corrispondenza ha contenuto di natura sostanziale e risulta diretta ad evitare l’inizio di procedure esecutive od altre iniziative pregiudizievoli, rivelando una finalità di prevenzione non dissimile da quella di molte delle eccezioni annoverate nella predetta elencazione non tassativa”. (Corte di Cassazione, SS.UU, sentenza n. 17534 del 4 luglio 2018)

 

2. Conclusioni. Viola dunque l’art. 41, comma 1, del c.d.f. ed è soggetto alla sanzione disciplinare della censura, l’avvocato che si mette in contatto diretto con la controparte che sappia assistita in uno specifico procedimento da altro collega, salvo quanto previsto all’art. 41 comma 3, il cui elenco secondo le Sezioni Unite della Suprema Corte, non è da considerarsi tassativo.

 

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Ciò detto circa il quesito, ci corre infine l’obbligo di precisare che:

– con la nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense “il potere disciplinare appartiene ai consigli distrettuali di disciplina forense” e dunque non rientra più tra i compiti e le prerogative del Consiglio dell’Ordine;

– ne consegue che i pareri in materia deontologica che gli iscritti richiedono al Consiglio dell’Ordine vengono da questo rilasciati in termini generali e non assumono né possono assumere, in eventuali procedimenti disciplinari, alcuna funzione orientativa né tantomeno vincolante del giudizio del Consiglio Distrettuale di Disciplina né rilevare quali esimente dell’iscritto sotto il profilo soggettivo;

– pertanto, è possibile che il Consiglio Distrettuale di Disciplina, nella sua autonoma valutazione di comportamenti concretamente tenuti, possa pervenire a conclusioni diverse da quelle fatte proprie dal Consiglio.

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