Direttore Responsabile:

Susanna Della Felice

Coordinatore di Redazione:

Lapo Mariani

parere

Avvocato: l’avvocato di una parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato, anche in caso di transazione, non deve percepire o accettare dalla parte assistita o da terzi (controparte) compensi senza che l’ammissione sia stata revocata o rinunziata.

È stato chiesto parere riguardo ai rilievi deontologici connessi all’abbandono di una causa con una transazione stragiudiziale con la quale controparte, convenuta abbiente, si impegna a corrispondere a parte attrice, ammessa al patrocinio a spese dello Stato: la somma capitale, gli onorari dell’avvocato di parte attrice e le spese ammesse prenotate a debito.

Vengono in rilievo gli artt. 85,133 e 134 del D.P.R. 115 del 2002 nonché l’art. 29 comma 8 del Codice deontologico forense (c.d.f.).

Stabilisce l’art 85 del D.P.R. 115/2002 che: “il difensore, l’ausiliario del magistrato e il consulente tecnico di parte non possono chiedere e percepire dal proprio assistito compensi o rimborsi a qualunque titolo, diversi da quelli previsti dalla presente parte del testo unico.

2. Ogni patto contrario è nullo.

3. La violazione del divieto costituisce grave illecito disciplinare professionale.”

In perfetta coerenza con la norma appena citata, a integrazione e completamento del sistema, l’art. 29, comma 8, del c.d.f. prevede che “l’avvocato, nominato difensore della parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato, non deve chiedere né percepire dalla parte assistita o da terzi, a qualunque titolo, compensi o rimborsi diversi da quelli previsti dalla legge”. Il successivo comma 9 stabilisce che la sanzione disciplinare per la violazione del dovere di cui al comma 8 è la sospensione dall’esercizio dell’attività professionale da sei mesi a un anno.

Con una recente ordinanza, la n. 10187 dell’11 aprile 2019, la Corte di Cassazione ha stabilito il seguente principio: “L’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, …, fino a quando non sia revocato, continua, pur in caso di composizione della lite, a produrre i suoi effetti, come in precedenza descritti, vale a dire l’obbligo dell’erario di procedere all’anticipazione degli onorari e delle spese dovuti al difensore, il quale, pertanto, ha il diritto alla relativa liquidazione: allo Stato, piuttosto, spetta il diritto al relativo recupero, ove ne sussistano le condizioni”. La rivalsa avviene ai sensi e per gli effetti degli artt. 133 e 134 del D.P.R. 115/2002.

È evidente pertanto che, fino a quando non vi sia stata una revoca o rinuncia all’ammissione del patrocinio a spese dello Stato, sarà lo Stato a dover corrispondere gli onorari al difensore della parte ammessa esercitando poi, qualora ne ricorrano le condizioni, la propria rivalsa sulla parte ammessa.

Viola dunque l’art. 29, comma 8, del c.d.f. ed è soggetto alla sanzione disciplinare della sospensione dall’attivitàprofessionale, l’avvocato della parte ammessa al patrocinio a spese dello stato che riceva, anche in occasione di transazione, un pagamento degli onorari da parte del proprio cliente o della controparte abbiente senza che l’ammissione al patrocinio del primo sia stata revocata o rinunziata.

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Ciò detto circa il quesito, ci corre infine l’obbligo di precisare che:

– con la nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense “il potere disciplinare appartiene ai consigli distrettuali di disciplina forense” e dunque non rientra più tra i compiti e le prerogative del Consiglio dell’Ordine;

– ne consegue che i pareri in materia deontologica che gli iscritti richiedono al Consiglio dell’Ordine vengono da questo rilasciati in termini generali e non assumono né possono assumere, in eventuali procedimenti disciplinari, alcuna funzione orientativa né tanto meno vincolante del giudizio del Consiglio Distrettuale di Disciplina né rilevare quali esimente dell’iscritto sotto il profilo soggettivo;

– pertanto, è possibile che il Consiglio Distrettuale di Disciplina, nella sua autonoma valutazione di comportamenti concretamente tenuti, possa pervenire a conclusioni diverse da quelle fatte proprie dal Consiglio.