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Lapo Mariani

parere

Avvocato. Non sussiste l’obbligo di rinuncia al mandato per gli associati e/o i colleghi di studio dell’ex-difensore che deve rendere la testimonianza.

E’ stato chiesto se un avvocato che, dovendo assistere un proprio cliente in un giudizio civile e avendo avuto necessità di indicare quale teste in detto giudizio civile un altro avvocato che aveva assistito precedentemente il cliente stesso nella vicenda oggetto del giudizio medesimo, successivamente a tale indicazione ma anteriormente all’assunzione della prova, abbia costituito uno studio associato con altri colleghi tra cui l’avvocato indicato come teste, possa, o meno, continuare ad assistere il cliente o debba, invece, rinunciare al mandato nel giudizio in questione.
Il Consiglio dell’Ordine, ha precisato che l’articolo 58 del Codice Deontologico prevede che, per quanto possibile l’avvocato deve astenersi dal deporre come testimone su circostanze apprese nell’esercizio della propria attività professionale e inerenti il mandato ricevuto e che, comunque, qualora intenda presentarsi come testimone deve rinunciare al mandato e non può più riassumerlo.
Tale disposizione, nella sua formulazione letterale, riguarda esclusivamente l’avvocato che deve rendere la testimonianza e non è estesa agli associati e/o ai colleghi di studio.
Tenendo conto, peraltro, che per la norma di chiusura prevista dall’art. 60 del Codice Deontologico, secondo cui “le disposizioni del Codice stesso costituiscono esemplificazioni dei comportamenti più ricorrenti e non limitano l’ambito di applicazione dei principi generali espressi”, vi potrebbero essere condotte non espressamente tipizzate in grado di integrare, comunque un illecito disciplinare e considerato, altresì, che in altre fattispecie previste dal Codice Deontologiche determinati divieti e/o obblighi posti a carico del singolo avvocato sono stati estesi, con le recenti modifiche apportate al Codice medesimo, agli eventuali associati e/o colleghi di studio, a dimostrazione del fatto che il nostro ordinamento deontologico è attualmente orientato nel senso, non solo di sanzionare i comportamenti deontologicamente scorretti del singolo avvocato, ma pure di evitare situazioni relativamente alle quali lo stato di associato o la semplice comunanza dello studio possano anche solo mettere in dubbio, nei confronti dei clienti e/o dei terzi, l’osservanza da parte dell’avvocato di alcuni doveri improntati, in particolare, al rispetto del principio di imparzialità e di correttezza, è opportuno verificare se la ratio della disposizione succitata sia tale da consentire un’interpretazione estensiva della stessa anche agli associati e/o ai colleghi di studio.
Ebbene le norme del Codice Deontologico che, di fatto, equiparano la situazione del singolo avvocato a quella dell’associato e/o del collega di studio, nel senso di vietare in alcuni casi l’assunzione anche da parte loro di determinati incarichi e/o funzioni, sono dettate in materia di conflitto di interessi (art. 37 del Codice Deontologico) e di arbitrato (art. 55 del Codice Deontologico) e sono dirette a tutelare in modo rigoroso, anche sotto il profilo dell’immagine, l’obbligo dell’avvocato di non danneggiare un proprio cliente e/o ex-cliente e di non violare il segreto professionale, ovvero a garantire, quando l’avvocato svolga la funzione di arbitro, una sua posizione di assoluta imparzialità e indipendenza.
Il caso della testimonianza, pur trattandosi di questione molto delicata, al punto che il primo precetto deontologico dettato dal succitato articolo 58 è quello di evitare, se possibile, di deporre come testimone su circostanze apprese nell’esercizio della propria attività professionale, è diverso non solo e non tanto perché riguarda una funzione estranea al concreto esercizio dell’attività professionale, al punto che l’avvocato, se depone come teste, deve preventivamente rinunciare al mandato e non più riassumerlo, quanto piuttosto perché integra anche un obbligo di legge (si pensi all’eventualità che l’avvocato, dopo che ha cessato di espletare la sua attività per quel cliente, sia indotto come teste dal nuovo legale del cliente e/o da un’altra delle parti in causa), regolato da specifiche norme processuali che prevedono in determinati ed eccezionali casi l’incapacità a testimoniare, su cui è intervenuta la Corte Costituzionale, eliminando alcuni casi di incapacità (vedi dichiarazione di incostituzionalità dell’art. 247 C.p.c.) in quanto costituivano una limitazione ingiustificata del diritto di difesa, fermo restando che, relativamente alla posizione dell’avvocato, l’obbligo di prestare la testimonianza deve conciliarsi con l’obbligo di non violare il segreto professionale.
Peraltro, nel momento in cui non si verta in una delle ipotesi tuttora vigenti di incapacità a testimoniare e se la prestazione della deposizione testimoniale non integri la violazione del segreto professionale, l’avvocato ha l’obbligo, una volta che sia stato indicato e intimato quale teste, di rendere la sua deposizione testimoniale.
Fermo restando che si deve presupporre e dare per scontato che un avvocato sentito come testimone in un processo svolga correttamente tale sua funzione, dichiarando il vero, senza falsità e/o reticenze e senza indulgere ad esigenze difensive precostituite, in quanto altrimenti il problema non sarebbe costituito dal fatto in sé e per sé della deposizione testimoniale, bensì dal grave illecito compiuto dall’avvocato se non adempie all’obbligo di dire la verità, è ovvio che la norma dell’art. 58 Codice Deontologico riguarda chiaramente il caso nel quale la scelta processuale di deporre come testimone sia assunta dal difensore della parte, il quale, in una simile eventualità, deve però rinunciare, ai fini di natura meramente deontologica, immediatamente al mandato e non più riassumerlo, e questo per evitare che egli svolga nello stesso processo sia la funzione di difensore che quella di testimone.
Risulta evidente che la ratio di detta disposizione deontologica è quella di salvaguardare sotto il profilo dell’immagine, più che nella sostanza (già adeguatamente salvaguardata dalle disposizioni di legge in materia di verità della deposizione testimoniale), la correttezza e l’indipendenza dell’avvocato nel momento in cui svolge la sua funzione di testimone.
Si tratta, tuttavia, di una disposizione di natura eccezionale che, interferendo sul diritto di difesa, costituzionalmente garantito, se pur le disposizioni deontologiche non sono di per sé tassative e costituiscono solo un’esemplificazione di comportamenti non corretti sotto il profilo disciplinare, deve essere oggetto di un’interpretazione rigorosa e non estensiva al fine, appunto, di non comprimere in modo illegittimo detto diritto di difesa, tenuto conto anche del fatto che, come sopra rilevato, la sua ratio risponde ad esigenze più di natura formale che sostanziale.
Del resto non si può ignorare del tutto il fatto che, allorché il Codice Deontologico è stato (di recente) modificato estendendo espressamente, in particolari fattispecie, determinati obblighi comportamentali e/o divieti anche agli associati e/o ai colleghi di studio, non si è ritenuto di dover prevedere una norma di carattere generale che riguardasse tutti gli obblighi e i divieti previsti dal Codice stesso né si è ritenuto di prevedere una norma specifica in tale senso per la testimonianza.
Per di più, nella fattispecie in esame, l’indicazione del precedente difensore quale teste è avvenuta prima della costituzione dell’associazione professionale e pure questo elemento, anche se non determinante, sia perché la decisione di costituire l’associazione potrebbe essere stata presa in un periodo anteriore e formalizzata solo successivamente, sia perché, comunque, le motivazioni sopra illustrate depongono nel senso che l’obbligo di rinuncia al mandato per gli associati e/o i colleghi di studio dell’ex-difensore che deve rendere la testimonianza non sussiste neppure negli altri casi, induce a ritenere che il fatto che il precedente difensore, oggi associato all’attuale difensore, renda la sua testimonianza non comporti, sotto il profilo deontologico, l’obbligo dell’attuale difensore stesso di rinunciare al mandato.