È stato richiesto parere riguardo alla sussistenza di un dovere deontologico dell’avvocato a consegnare copia di documenti, nello specifico certificati e relazioni mediche ricevuti dal cliente, ai medici che li hanno sottoscritti o all’Autorità Giudiziaria, in caso di denuncia presentata dai medici o dalla Compagnia Assicuratrice; ovvero se sussista l’obbligo deontologico di rendere testimonianza in merito agli stessi.
Norme Rilevanti e giurisprudenza
Ai fini della risposta al quesito vengono in rilievo gli artt. 13 e 28 del codice deontologico forense (d’ora in poi c.d.f.), nonché l’art. 6 della l. 247/2012 sulla “Nuova disciplina dell’Ordinamento della professione forense”.
Stabilisce in particolare l’art. 28 c.d.f. che:
“1. È dovere, oltre che diritto, primario e fondamentale dell’avvocato mantenere il segreto e il massimo riserbo sull’attività prestata e su tutte le informazioni che gli siano fornite dal cliente e dalla parte assistita, nonché su quelle delle quali sia venuto a conoscenza in dipendenza del mandato.
2. L’obbligo del segreto va osservato anche quando il mandato sia stato adempiuto, comunque concluso, rinunciato o non accettato.
(…)
4. È consentito all’avvocato derogare ai doveri di cui sopra qualora la divulgazione di quanto appreso sia necessaria: a) per lo svolgimento dell’attività di difesa; b) per impedire la commissione di un reato di particolare gravità; c) per allegare circostanze di fatto in una controversia tra avvocato e cliente o parte assistita; d) nell’ambito di una procedura disciplinare. In ogni caso la divulgazione dovrà essere limitata a quanto strettamente necessario per il fine tutelato.
5. La violazione dei doveri di cui ai commi precedenti comporta l’applicazione della sanzione disciplinare della censura e, nei casi in cui la violazione attenga al segreto professionale, l’applicazione della sospensione dall’esercizio dell’attività professionale da uno a tre anni”.
Il Consiglio Nazionale Forense (d’ora in poi “CNF”) si è trovato in più occasioni a doversi pronunciare sull’interpretazione delle norme in materia di segreto professionale stabilendo in particolare, per quel che rileva nel caso in esame che:
Il dovere di segretezza e riservatezza non cessa alla conclusione dell’incarico ma persiste anche dopo la conclusione dello stesso” (CNF – pres. Mascherin, rel. Merli -, sentenza del 31 dicembre 2016, n. 395).
E ancora: Il professionista è tenuto a mantenere il segreto ed il massimo riserbo sull’attività prestata e su tutte le informazioni che gli siano fornite dal cliente e dalla parte assistita, nonché su quelle delle quali sia venuto a conoscenza in dipendenza del mandato. Elementi del relativo illecito disciplinare sono quindi, da un lato, l’esistenza di un mandato professionale tra cliente e professionista e, dall’altro, che le notizie siano state riferite dal proprio assistito in funzione del mandato ricevuto. (C.N.F. pres. Mascherin, rel. Del Paggio, sentenza n. 60 del 16 luglio 2019).
Il segreto professionale è uno dei principi e dei doveri fondamentali cui deve ispirarsi l’attività dell’avvocato e sul quale il cliente deve essere certo di poter contare, al pari, od ancor prima, della probità, dignità, decoro ed indipendenza; il legislatore ne ha preso atto persino nell’ambito del processo penale, notoriamente finalizzato alla tutela pubblica; (…).
Ad analoghe conclusioni si perviene allorché ci si chieda se l’avvocato debba consegnare la documentazione in suo possesso, affidatagli dal cliente: tutto ciò che è “pubblico”, siccome agli atti di un processo attinente all’attività d’impresa, può e deve essere consegnato, al pari di quanto avverrebbe nella ipotesi di revoca del mandato e nomina di un nuovo difensore (artt. 33 e 48 co. 3° C.D.F.); la documentazione e la corrispondenza che esulino dai “processi” o attengano a “cause personalissime”, va singolarmente valutata a tutela ed in ossequio al principio di riservatezza. (C.N.F. rel. Amadei, parere del 18 aprile 2018, n. 16.
Conclusioni
Poiché nel caso in esame non risultano integrati gli estremi di alcuna delle eccezioni previste dall’art. 28 c.d.f. a tale divieto (il reato di tentativo frode di cui potrebbe essere accusato il sig. X non rientra fra i “reati di particolare gravità” di cui alla norma citata), si deve ritenere che l’avvocato, qualora gli vengano richiesti, anche dall’Autorità giudiziaria, documenti rilevanti e testimonianze possa e debba opporre il segreto professionale e legittimamente rifiutarsi di consegnare e fare quanto richiesto, essendo a ciò legittimato e obbligato non solo dal codice deontologico della propria professione, ma anche dall’art. 6 della l. 247/2012.
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Ciò detto circa il quesito, ci corre infine l’obbligo di precisare che:
– con la nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense “il potere disciplinare appartiene ai consigli distrettuali di disciplina forense” e dunque non rientra più tra i compiti e le prerogative del Consiglio dell’Ordine;
– ne consegue che i pareri in materia deontologica che gli iscritti richiedono al Consiglio dell’Ordine vengono da questo rilasciati in termini generali e non assumono né possono assumere, in eventuali procedimenti disciplinari, alcuna funzione orientativa né tanto meno vincolante del giudizio del Consiglio Distrettuale di Disciplina né rilevare quali esimente dell’iscritto sotto il profilo soggettivo;
– pertanto, è possibile che il Consiglio Distrettuale di Disciplina, nella sua autonoma valutazione di comportamenti concretamente tenuti, possa pervenire a conclusioni diverse da quelle fatte proprie dal Consiglio.