Direttore Responsabile:

Susanna Della Felice

Coordinatore di Redazione:

Lapo Mariani

parere

Avvocato: sul conflitto potenziale di interessi

1.   Quesito

Veniva formulato al Consiglio dell’Ordine il seguente quesito:

Un Avvocato ha assistito in una causa di opposizione a D.I. due persone (madre e figlia), le quali hanno chiesto la revoca del provvedimento monitorio adducendo la falsità, la prima dei documenti bancari posti a fondamento del ricorso, la seconda di una sottoscrizione apposta su una ricevuta di ritorno di una raccomandata inviatale dalla Banca (cedente il credito al ricorrente per D.I.).

Il Giudice ha emesso sentenza a seguito di C.T.U. grafotecnica ed ha deciso la revoca del D.I. nei confronti della prima e la conferma del D.I. nei confronti della seconda.

Ha poi disposto la compensazione integrale delle spese di causa tra le stesse e la società che aveva azionato il D.I., quasi fossero un’unica parte.

Le stesse avevano ed hanno posizioni processuali distinte, per cui verso la prima il Giudice avrebbe dovuto condannare il ricorrente alla rifusione delle spese di giudizio, in quanto parte vittoriosa; mentre la seconda avrebbe dovuto essere condannata alle spese, in quanto soccombente.

L’ Avvocato vorrebbe presentare istanza di correzione della sentenza definitiva ex art. 287 c.p.c. a nome di entrambe le Clienti e si pone il seguente problema:

Tra le Clienti si profila un ipotetico e solo apparente conflitto d’interessi poiché la seconda (soccombente non condannata alle spese) è tuttavia d’accordo a chiedere la correzione. Anzi ne caldeggia insistentemente la richiesta pur rischiando un addebito di spese a proprio carico (anche perché non ne trarrà alcun concreto pregiudizio essendo giuridicamente impossibile che possa farvi fronte), mentre in caso di accoglimento dell’istanza ne beneficerebbe significativamente la parte vincitrice (figlia).

Può dunque presentare quell’istanza nell’interesse di entrambe?

2.   Norme rilevanti

L’art. 24 c.d.f., “Conflitto di interessi” stabilisce che:

“1. L’avvocato deve astenersi dal prestare attività professionale quando questa possa determinare un conflitto con gli interessi della parte assistita e del cliente o interferire con lo svolgimento di altro incarico anche non professionale.

2. L’avvocato nell’esercizio dell’attività professionale deve conservare la propria indipendenza e difendere la propria libertà da pressioni o condizionamenti di ogni genere, anche correlati a interessi riguardanti la propria sfera personale.

3. Il conflitto di interessi sussiste anche nel caso in cui il nuovo mandato determini la violazione del segreto sulle informazioni fornite da altra parte assistita o cliente, la conoscenza degli affari di una parte possa favorire ingiustamente un’altra parte assistita o cliente, l’adempimento di un precedente mandato limiti l’indipendenza dell’avvocato nello svolgimento del nuovo incarico.

4. L’avvocato deve comunicare alla parte assistita e al cliente l’esistenza di circostanze impeditive per la prestazione dell’attività richiesta.

5. Il dovere di astensione sussiste anche se le parti aventi interessi confliggenti si rivolgano ad avvocati che siano partecipi di una stessa società di avvocati o associazione professionale o che esercitino negli stessi locali e collaborino professionalmente in maniera non occasionale.

6. La violazione dei doveri di cui ai commi 1, 3 e 5 comporta l’applicazione della sanzione disciplinare della sospensione dall’esercizio dell’attività professionale da uno a tre anni. La violazione dei doveri di cui ai commi 2 e 4 comporta l’applicazione della sanzione disciplinare della censura”.

        La norma proibisce pertanto all’avvocato di assumere un incarico professionale quando questo possa determinare un conflitto di interessi con una parte assistita.

3.   Risposta al quesito

Il procedimento di correzione ex art. 287 cpc, essendo diretto soltanto a ristabilire la corretta espressione della volontà del giudice, non prevede in realtà alcuna reale soccombenza e non è quindi idoneo a far sorgere un conflitto di interessi fra le parti coinvolte. Si tratta infatti di procedimento di natura amministrativa[1].

        Si ricorda infine che la presentazione di un’istanza di correzione ex art. 287 cpc può riguardare errori materiali, di calcolo, o sviste da parte del giudice e non può riguardare singole statuizioni, ovvero pronunce in senso proprio. Con riferimento alle spese, pertanto, la decisione del giudice è suscettibile di correzione soltanto qualora vi sia un insanabile contrasto fra la motivazione in punto di spese e l’espressione formale del testo della decisione finale.

        Ciò detto circa il quesito, ci corre infine l’obbligo di precisare che:

– con la nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense “il potere disciplinare appartiene ai consigli distrettuali di disciplina forense” e dunque non rientra più tra i compiti e le prerogative del Consiglio dell’Ordine;

– ne consegue che i pareri in materia deontologica che gli iscritti richiedono al Consiglio dell’Ordine vengono da questo rilasciati in termini generali e non assumono né possono assumere, in eventuali procedimenti disciplinari, alcuna funzione orientativa né tantomeno vincolante del giudizio del Consiglio Distrettuale di Disciplina né rilevare quali esimente dell’iscritto sotto il profilo soggettivo;

– pertanto, è possibile che il Consiglio Distrettuale di Disciplina, nella sua autonoma valutazione di comportamenti concretamente tenuti, possa pervenire a conclusioni diverse da quelle fatte proprie dal Consiglio.

NOTE:

[1] In questo senso, da ultimo, anche Cass. 14 settembre 2023, n. 26566. La Corte, con riferimento a un’ipotesi in cui il giudicante adito per la correzione di un errore materiale, a fronte dell’opposizione alla correzione di una delle parti, aveva deciso la condanna alle spese per il procedimento di correzione, ha stabilito che “nel procedimento di correzione degli errori materiali di cui agli artt. 287 e 391 bis c.p.c. non è ammessa alcuna statuizione sulle spese processuali, trattandosi di procedimento di natura amministrativa senza una parte soccombente in senso proprio”.