1. Quesito.
Un’avvocata ha richiesto al Consiglio dell’Ordine un parere avente ad oggetto la seguente questione: la possibilità che un avvocato, il quale risulta sospeso dall’Albo per motivi disciplinari e -in precedenza- era stato difensore in una causa in cui l’avvocata richiedente rappresentava la controparte, pur essendo stato sostituito da un altro difensore, sottoscriva validamente la rinuncia alla solidarietà professionale ex art. 13, legge n. 247/2012, contenuta all’interno dell’atto di transazione di detta causa.
Secondo le considerazioni della richiedente, la rinuncia sarebbe riferita esclusivamente all’attività giudiziaria svolta e patrocinata dal suddetto collega, ed è difficile stabilire se tale rinuncia possa essere considerata, per logica deduzione, nell’ambito dello ius postulandi, oppure se, al contrario, possa essere ritenuta del tutto estranea a tale ambito e quindi pienamente ammissibile anche per chi ne sia, seppur temporaneamente, privo.
2. Risposta al quesito
All’avvocato sospeso è vietata ogni attività, compresa quella stragiudiziale, che rientri fra quelle elencate dai commi 5 e 6 dell’art. 36 del c.d.f. In una recente pronuncia il Consiglio Nazionale Forense ha stabilito che “nel periodo di sospensione dalla professione, l’avvocato deve astenersi dal compiere, oltre agli atti strettamente giudiziali, anche tutti quelli da qualificarsi comunque come riservati alla categoria forense, ivi compresi quelli di assistenza legale stragiudiziale ex art. 2 co. 6 L. n. 247/2012 (Nel caso di specie, l’avvocato sospeso disciplinarmente aveva inviato una lettera di diffida e messa in mora)” (così CNF, sentenza n. 57 del 17 giugno 2020 e, nello stesso senso, CNF sentenza n. 132 del 27 settembre 2012).
La sottoscrizione di una transazione da parte dell’avvocato sospeso allo scopo di dichiarare la propria rinuncia alla solidarietà ex art. 13 della legge professionale forense non richiede l’esercizio di attività tipicamente riservate agli avvocati. In tale contesto l’avvocato agisce infatti a titolo personale, dichiarando la propria volontà di rinunciare al diritto, riconosciutogli dalla legge, di agire anche nei confronti della controparte del proprio cliente per recuperare il compenso maturato per attività professionale legittimamente svolta quando ancora non era stato colpito dal provvedimento di sospensione.
Tale dichiarazione di rinuncia non integra né un’attività di assistenza legale, né di rappresentanza tecnica. Poiché la rinuncia riguarda una posizione personale e non consiste nello svolgimento di attività professionale, essa non viola i divieti imposti dal provvedimento di sospensione ed è validamente espressa, purché, ovviamente, il diritto al compenso sia maturato in un periodo in cui l’avvocato poteva legittimamente svolgere la propria attività professionale.
Ciò detto circa il quesito, ci corre infine l’obbligo di precisare che:
– con la nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense “il potere disciplinare appartiene ai consigli distrettuali di disciplina forense” e dunque non rientra più tra i compiti e le prerogative del Consiglio dell’Ordine;
– ne consegue che i pareri in materia deontologica che gli iscritti richiedono al Consiglio dell’Ordine vengono da questo rilasciati in termini generali e non assumono né possono assumere, in eventuali procedimenti disciplinari, alcuna funzione orientativa né tantomeno vincolante del giudizio del Consiglio Distrettuale di Disciplina né rilevare quali esimente dell’iscritto sotto il profilo soggettivo;
– pertanto, è possibile che il Consiglio Distrettuale di Disciplina, nella sua autonoma valutazione di comportamenti concretamente tenuti, possa pervenire a conclusioni diverse da quelle fatte proprie dal Consiglio.