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giurisprudenza

L’Avvocato non è responsabile per la scelta di un rito in luogo di un altro se non risultano violati i canoni della diligenza professionale commisurati all’attività esercitata (Cass., Sez. II, 22 luglio 2014, n. 16690)

Nella questione sottoposta al vaglio della Corte di Cassazione, un Avvocato era stato oggetto passivo di domanda risarcitoria promossa da un proprio ex cliente, per aver scelto il rito ordinario anziché il rito monitorio per il recupero di un credito derivante da attività professionale.
Orbene, la Corte precisa che, a prescindere dagli esiti finali della causa (per altro positivi per l'ex cliente), non è possibile affermare la responsabilità professionale dell'Avvocato se non vengono dimostrati in giudizio simultaneamente i seguenti requisiti: a) che l'evento produttivo del danno lamentato dal cliente sia riconducibile alla sua condotta professionale; b) che vi sia stato effettivamente un danno; c) che se fosse stato tenuto il comportamento dovuto, il cliente, alla stregua di criteri probabilistici avrebbe conseguito il riconoscimento delle proprie ragioni. In difetto di tali condizioni mancherà la prova del necessario nesso causale tra la condotta tenuta dall'Avvocato ed il presunto risultato derivatone.
In sostanza, ribadisce la Suprema Corte, il professionista legale non può garantire al cliente l'esito favorevole da egli auspicato, in quanto la natura dell'incarico affidato all'Avvocato configura un'obbligazione di mezzi e non di risultato, che sarà immune da censure qualora sia stata conforme alla diligenza ed alla prudenza medie esigibili e connaturate all'attività esercitata.
a cura di Devis Baldi