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giurisprudenza

Il patteggiamento esonera il Giudice disciplinare dall’onere della prova (Cass., Sez. Un., 20 settembre 2013, n. 21591)

Nel caso in commento ad un avvocato, accusato del reato di calunnia, veniva applicata su richiesta delle parti la pena di 10 mesi e 20 giorni di reclusione. Nel successivo procedimento disciplinare, però, sia il COA che il CNF lo sanzionavano con la radiazione dall’albo. In particolare, il CNF riteneva la sanzione disciplinare congrua rispetto alla gravità della condanna penale, poiché il reato contestato aveva compromesso la specchiatezza della condotta richiesta ad un avvocato.
Il professionista ricorreva in Cassazione, rilevando come, ai fini dell’accertamento della responsabilità disciplinare, la sentenza di patteggiamento non potesse essere equiparata ad una sentenza di condanna, in quanto l’applicazione della pena su richiesta della parti avrebbe esclusivamente lo scopo di accelerare i tempi del processo.
Di diverso avviso, però, è stata la Suprema Corte che ha confermato la legittimità della sanzione disciplinare, precisando come le sentenze di patteggiamento abbiano efficacia di giudicato anche nei giudizi disciplinari che riguardano gli avvocati in riferimento all'accertamento del fatto, alla sua illiceità penale e all'affermazione della responsabilità penale dell'imputato. Più esattamente, a detta delle Sezioni Unite “… la sentenza di patteggiamento costituisce un elemento di prova per il giudice di merito il quale, ove intenda disconoscerne l'efficacia probatoria, ha il dovere di spiegare le ragioni per cui l'imputato avrebbe ammesso una sua insussistente responsabilità ed il giudice penale abbia prestato fede a tale ammissione. Pertanto la sentenza di applicazione di pena patteggiata, a prescindere dalla sua qualificazione come sentenza di condanna, presuppone pur sempre un'ammissione di colpevolezza ed esonera il giudice disciplinare dall'onere della prova (S.U. 31.07.06 n. 17289).”
 

                                                                                                                          a cura di Marco Ferrero