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giurisprudenza

Sono utilizzabili le intercettazioni telefoniche tra l’avvocato ed il proprio assistito, se nella conversazione non emerge che il difensore ha svolto il suo tipico ruolo professionale (Cass., Sez. II Pen., 18 giugno 2014, n. 26323)

Con la sentenza in esame la Seconda Sezione della Corte di Cassazione ha avuto modo di precisare i confini di operatività dell'art. 103, comma 5 e 7, c.p.p. secondo i quali non è consentita, e quindi se compiuta non è utilizzabile, l'intercettazione di conversazioni o comunicazioni tra il difensore e le persone loro assistite.
Invero, la Corte precisa che tale divieto opera soltanto qualora dal contenuto complessivo della conversazione si possa evincere che l'Avvocato, in quell'occasione, ha svolto il proprio ruolo di difensore suggerendo al proprio cliente consigli, strategie difensive, richieste di chiarimenti, etc..
Nel caso di specie, invece, il difensore, pacificamente legato da un rapporto di amicizia e/o di familiarità con il proprio interlocutore, si era limitato ad ascoltare il lungo monologo con il quale quest'ultimo confessava il reato per cui era stato sottoposto a misura cautelare, senza svolgere alcuna attività difensiva nei termini sopra precisati.
Pertanto, si chiarisce che nel caso in cui venga intercettato un colloquio tra l'indagato ed il proprio Avvocato, il giudice, al fine di stabilire l'utilizzabilità o meno della conversazione, deve affrontare e superare un doppio vaglio di ammissibilità: da una parte, dunque, dovrà verificare se quanto detto dall'indagato sia finalizzato ad ottenere consigli difensivi e non sia, invece, una mera confessione “amicale”; dall'altra, dovrà constatare se quanto detto dal difensore sia di natura professionale, oppure abbia una mera natura consolatoria e/o “amicale” a fronte delle confidenze ricevute.
a cura di Devis Baldi