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giurisprudenza

Esame di abilitazione alla professione di avvocato: prove scritte “truccate”? Si applica la disciplina speciale di cui agli artt. 1 e 2 della L. n. 475/1925 (Cass., Sez. V Pen., 20 Gennaio 2017, n. 2739)

Al fine di chiarire l’eccellente sentenza in commento, resa recentemente dalla V° Sezione della Corte di Cassazione Penale, giova muovere dalla descrizione, in fatto, della vicenda ad essa sottesa.

In occasione degli esami di abilitazione alla professione di Avvocato, alcuni candidati avevano trasmesso all’esterno ad un “gruppo di lavoro” le tracce d’esame con il proprio cellulare – tramite la nota applicazione “whatsapp” -: secondo gli accordi intrapresi tra le parti, poi, gli elaborati sviluppati all’esterno venivano quindi riconsegnati ai candidati, all’interno dell’aula ove si svolgevano le prove, per il tramite di un componente della commissione esaminatrice, anch’esso facente parte del pactum sceleris. Il tutto avveniva con il fine di lucro dei componenti del gruppo di lavoro esterno.

Al terzo giorno d’esame, durante la terza prova scritta, gli inquirenti intervenivano bloccando la consegna dei temi di alcuni candidati che si erano avvalsi dell’aiuto esterno del gruppo di lavoro loro complice.

Nondimeno, alcuni candidati riuscivano a consegnare tutti e tre gli elaborati, venendo scoperti solo successivamente grazie alla verifica dei tabulati telefonici e della comparazione degli elaborati scritti tra di loro. Peraltro, nel frattempo, all’esito delle correzioni da parte della commissione, uno di questi candidati era stato considerato idoneo.

L’ideatrice del piano criminoso veniva quindi sottoposta alla misura cautelare degli arresti domiciliari; tuttavia, il Tribunale del riesame ne disponeva l’annullamento in quanto i reati contestati (tra cui il falso ideologico mediante induzione) dovevano tutti ritenersi assorbiti all’interno dell’unica fattispecie delittuosa punita e prevista dal combinato disposto degli artt. 1 e 2 della L. 475/1925 i quali, per i limiti edittali di pena in essi prevista, non consente l’applicazione della misura cautelare.

La Corte di Cassazione, quindi, investita della decisione da parte della Procura della Repubblica competente, con efficace lucidità espositiva avalla la decisione del Tribunale del riesame, sottolineando che la fattispecie deve ritenersi risolvibile mediante l’applicazione del principio di specialità tra norme penali.

Nel caso di specie, invero, la normativa speciale di cui al combinato disposto degli artt. 1 e 2 della L. 475/1925, punisce chiunque, all’interno di prove di esame o concorso: a) presenti come propri lavori che siano opera di altri, con l’ipotesi aggravante qualora l’intento finale sia conseguito; b) esegue o procura i lavori anzidetti, con la circostanza aggravante qualora concorra il fine di lucro.

Pertanto, nel caso in esame, il delitto di falso ideologico mediante induzione in errore (ex artt. 48 e 479 c.p.) deve ritenersi completamente assorbito nella fattispecie speciale predetta, perchè la condotta contestata agli indagati – sino al conseguimento dell’intento con il positivo superamento della prova d’esame – risulta interamente “coperta” dalla L. 475/1925.

La Corte di Cassazione, nondimeno, ricorda che tale soluzione non sarebbe stata percorribile nel caso in cui, oltre alla presentazione di un elaborato non proprio, si fosse realizzato anche un ulteriore delitto di falso (ad esempio, con una falsa dichiarazione sulla propria identità): in tal modo (ossia solo quando le condotte contestate non risultano totalmente assorbite all’interno di un’unica fattispecie incriminatrice speciale) si giustificherebbe l’applicazione delle regole sul concorso di reati, in specie tra le fattispecie di cui alla L. 475/1925 e gli articoli del codice penale posti a presidio della fede pubblica.

A cura di Devis Baldi