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giurisprudenza

Giudizio disciplinare: principi in tema di prescrizione e disponibilità dell’azione disciplinare e sul divieto di accaparramento della clientela (C.N.F. – RD 148/19, Sent. 6 dicembre 2019)

Con la sentenza in esame il C.N.F. ha avuto modo di poter fornire al professionista del diritto un’utile ricognizione di alcuni principi sui quali si basa il procedimento disciplinare.

Anzitutto, in tema di normativa applicabile alla prescrizione dell’azione disciplinare, viene ricordato che la relativa fonte è legale e non deontologica; di talchè, resta operante il criterio generale dell’irretroattività delle norme in tema di sanzioni amministrative, restando quindi inapplicabile, a fatti antecedenti, lo jus superveniens introdotto con l’art. 56, comma 3, della legge n. 247/12 (cfr. ex multis, Cass. SSUU, 25 marzo 2019, n. 8313).

Per quanto concerne il profilo del dies a quo di decorrenza della prescrizione, il C.N.F. ricorda preliminarmente che è necessario stabilire se le violazioni deontologiche contestate all’incolpato siano di carattere istantaneo, id est violazioni che si consumano o si esauriscono al momento stesso in cui vengono realizzate, o se le stesse risultino integrate da condotte protrattesi e mantenute nel tempo, costituendo illeciti c.d. permanenti. La decorrenza del termine prescrizionale ha inizio, infatti, dalla data della commissione del fatto nel primo caso e da quella della cessazione della condotta nel secondo.

Viene poi trattata la questione degli atti interruttivi della prescrizione ricordando che l’interruzione del termine quinquennale di prescrizione dell’azione disciplinare nei confronti degli esercenti la professione forense è diversamente disciplinata nei due distinti procedimenti del giudizio disciplinare: nel procedimento amministrativo, quale è quello di fronte ai COA e ai CDD, trova applicazione l’art. 2945, primo comma cod. civ., secondo cui per effetto e dal momento dell’interruzione inizia un nuovo periodo di prescrizione; nella fase giurisdizionale davanti al Consiglio Nazionale Forense opera invece il principio dell’effetto interruttivo permanente di cui al combinato disposto degli artt. 2945, secondo comma e 2943 cod. civ., effetto che si protrae durante tutto il corso del giudizio e nelle eventuali fasi successive dell’impugnazione, fino al passaggio in giudicato della sentenza.

Il C.N.F. passa quindi ad analizzare l’ipotesi, per vero non rara, in cui nelle more del procedimento disciplinare intervenga una transazione tra l’esponente e l’incolpato, ovvero una rinuncia all’esposto da parte del primo. Ebbene, è principio pacifico del Consiglio Nazionale Forense che l’azione disciplinare non rientra nella disponibilità delle parti, sicché la rinuncia all’esposto da parte dei soggetti esponenti così come l’eventuale dichiarazione delle parti di essere pervenute ad una risoluzione bonaria della controversia non condiziona né implica l’estinzione o l’interruzione del procedimento, né attenua la gravità del comportamento dell’incolpato.

Infine, il caso in esame porta poi il C.N.F. a trattare uno dei temi più all’ordine del giorno nell’esercizio della professione forense in questi ultimi anni, ossia la condotta dell’Avvocato volta all’acquisizione della clientela con modi non conformi alla correttezza ed al decoro della professione forense. Sul punto, si ammonisce quindi ancora una volta che sebbene sia ammissibile offrire di svolgere l’attività professionale forense a titolo gratuito, non è invece accettabile né rispettoso dei principi deontologici utilizzare l’apparente gratuità della prestazione per accaparrarsi clienti che, altrimenti, potrebbero non conferire l’incarico.

 

A cura di Devis Baldi