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giurisprudenza

Il palmario è un compenso straordinario concordato tra avvocato e cliente e non può essere pagato dalla controparte (Cass., Sez. II, 14 luglio 2023, n. 20266)

La sentenza in esame trae origine da un giudizio introdotto da un avvocato per ottenere il pagamento dei propri compensi, come concordati con la parte da questi assistita.

Il professionista chiedeva – sia alla società propria assistita, sia alle controparti – il pagamento dei compensi per due giudizi, nonché un’ulteriore somma “quale ulteriore palmario del 10% sulla sorte capitale che sarebbe stata ricavata dall’azione giudiziaria” oggetto di convenzione con la ridetta società.

In particolare, i suddetti giudizi erano stati chiusi con transazione e conseguente sentenza di cessazione della materia del contendere, che aveva disposto la compensazione delle spese.

Per quanto qui di interesse, la Corte di Cassazione ha quindi rilevato, preliminarmente, che l’art. 68 della legge professionale (secondo cui “quando un giudizio è definito con transazione, tutte le parti che hanno transatto sono solidalmente obbligate al pagamento degli onorari e al rimborso delle spese di cui gli avvocati ed i procuratori che hanno partecipato al giudizio degli ultimi tre anni fossero tuttora creditori per il giudizio stesso”) costituisce una eccezione al principio generale.

La regola, infatti, è quella che – in disparte l’ipotesi di distrazione delle spese – il legale può richiedere il pagamento dei propri compensi unicamente al proprio cliente.

Inoltre, si legge nella sentenza, l’art. 61 della legge professionale (secondo cui “l’onorario dell’avvocato, nei confronti del proprio cliente (…), è determinato, salvo patto speciale, in base ai criteri di cui all’art. 57, tenuto conto della gravità e del numero delle questioni trattate. Tale onorario, in relazione alla specialità della controversia o al pregio o al risultato dell’opera prestata, può essere anche maggiore di quello liquidato a carico della parte condannata nelle spese”) va interpretato nel senso che quest’ultimo maggior compenso non possa essere imposto alla parte soccombente estranea alla stessa convenzione.

In tal senso, osserva la Cassazione, “il «palmario» è compenso di carattere straordinario: tra assistito e difensore è pattuita la corresponsione di una somma aggiuntiva e ulteriore, sia in caso di vittoria che di esito sfavorevole della causa, non sostitutivo dell’onorario secondo tariffa e finalizzato a stimolare lo zelo del difensore (cfr. Cass. Sez. 2, n. 6519 del 26/04/2012)”.

Pertanto, conclude la Suprema Corte, “la tutela speciale assicurata dall’art. 68 della legge professionale, allora, non può che concernere soltanto quei diritti che ineriscono al rapporto processuale e dei quali avrebbe potuto rispondere, in mancanza di transazione e in ipotesi di soccombenza, la controparte non assistita. Gli ulteriori diritti che si fondino nel particolare rapporto convenzionale intercorso tra cliente e patrono – e, perciò, anche il cosiddetto palmario – sono invece estranei alla speciale tutela dell’art. 68 e per la loro tutela l’avvocato non può che rivolgersi al proprio cliente”.

A cura di Giulio Carano