Direttore Responsabile:

Susanna Della Felice

Coordinatore di Redazione:

Lapo Mariani

giurisprudenza

La parte vittoriosa in primo grado non può vedersi condannata in appello solo perché contumace, in quanto la contumacia non comporta ammissione della fondatezza della pretesa avversaria (Cass., Sez. VI, 4 novembre 2015, n. 22461)

Convenuta di fronte al Giudice di Pace per il pagamento di alcune prestazioni professionali, una società proponeva domanda riconvenzionale che veniva parzialmente accolta; veniva invece rigettata la domanda di parte attrice. A fronte dell’appello di quest’ultima, il Tribunale riformava integralmente la sentenza e condannava la società uscita vittoriosa dal primo grado di giudizio, sostenendo che, attesa la contumacia dell’appellata, per effetto della non contestazione di cui al novellato art. 115 c.p.c. i fatti dedotti dall’appellante dovevano ritenersi provati. A seguito del ricorso della società, con la sentenza in commento la Corte di Cassazione ha precisato che l’effetto devolutivo dell’appello non comporta che il secondo grado di giudizio consista nella perfetta mimesi del primo grado. Il thema decidendum e il thema probandum, infatti, vengono definiti irretrattabilmente nel primo grado di giudizio, con la conseguenza che il Giudice non può rideterminare fatti pacifici e non controversi in maniera avulsa dalla trattazione di primo grado. In tal senso, l’onere di contestazione specifica si pone nell’ambito del solo giudizio di primo grado e la contumacia in appello non implica l’ammissione della fondatezza della pretesa avversa; la contumacia, infatti costituisce un comportamento neutrale privo di alcuna valenza confessoria. La parte resta perciò onerata della prova dei fatti fondativi della propria pretesa, indipendentemente dal fatto che la controparte abbia o meno proposto contestazioni specifiche.

A cura di Leonardo Cammunci