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giurisprudenza

Lede la probità, la dignità ed il decoro della professione forense l’Avvocato che omette di fatturare le somme ricevute dal cliente e sovrappone la propria attività professionale al compimento di prestazioni sessuali con il cliente (C.N.F., Sent. 6 dicembre 2019, n. 145)

Nel procedimento disciplinare portato al vaglio del Consiglio Nazionale Forense, il COA territorialmente competente aveva inflitto ad un professionista Avvocato la sanzione della sospensione dall’esercizio dell’attività per la durata di due mesi.

Nel dettaglio, il professionista era stato ritenuto responsabile di: a) violazione dell’art. 5 (oggi art. 9) e 15 (oggi art. 16) c.d.f. per avere omesso di fatturare una somma ricevuta dal cliente per compensi professionali; b) violazione dell’art. 5 (oggi art. 9) c.d.f. per aver dichiarato al cliente di attivarsi professionalmente a fronte di prestazioni sessuali.

Giunta la questione sul tavolo del C.N.F., previa impugnazione del professionista condannato disciplinarmente dal Consiglio territoriale, l’organo di secondo grado, dopo aver premesso la correttezza dell’iter motivazionale seguito dal COA, ha confermato la decisione di primo grado ricordando che:

– i concetti di probità, dignità e decoro (art. 9 c.d.f.) costituiscono doveri generali e concetti “faro”, a cui si ispira ogni regola deontologica, giacché essi rappresentano le necessarie premesse per l’agire degli avvocati, e mirano a tutelare l’affidamento che la collettività ripone nella figura dell’Avvocato, quale professionista leale e corretto in ogni ambito della propria attività;

– l’Avvocato deve svolgere la propria attività con lealtà e correttezza, non solo nei confronti della parte assistita, ma anche e soprattutto verso l’ordinamento, generale dello Stato e particolare della professione, verso la società, verso i terzi in genere;

– pone in essere un comportamento che viola il dovere di adempimento fiscale (art. 16 c.d.f.), oltre a quello di correttezza, l’Avvocato che ometta la fatturazione dei compensi percepiti.

Tutto ciò considerato, il C.N.F. ha altresì ritenuta congrua la sanzione inflitta dal COA territoriale in quanto è apparsa di estrema gravità la confusione o la sovrapposizione dell’atto sessuale alla prestazione professionale che, unitamente alla volgarità delle espressioni usate ed il fine propostosi dall’Avvocato nel contesto del mandato professionale, hanno leso profondamente i suddetti fondamentali doveri.

 

A cura di Devis Baldi