Con la sentenza in commento la Suprema Corte interviene a chiarire la lettura da attribuirsi all’espressione “per i medesimi incombenti”, utilizzata nei provvedimenti di rinvio della causa ad altra udienza. Da precisare che la fattispecie in esame si collocava nel peculiare regime imposto dalla emergenza sanitaria del 2020, che in un primo momento aveva reso necessaria la sostituzione dell’udienza con il deposito di note scritte, con assegnazione del relativo termine per il deposito. Proprio in occasione di tale udienza cartolare, rilevato che nessuna delle parti aveva depositato le note nei termini assegnati, il giudice di prime cure aveva rinviato la causa a nuova data “per i medesimi incombenti”. Seguiva il deposito di una nota scritta di una delle parti, evidenza della volontà della stessa di non abbandonare il processo e giungere ad una decisione di merito. Senonché all’udienza nessuno compariva ed il giudice non riteneva di dover prendere in considerazione la nota scritta depositata in quanto non autorizzata. Pertanto, dando atto che la causa veniva già da un precedente rinvio per assenza delle parti, emetteva ordinanza di cancellazione della causa dal ruolo ex art. 309 c.p.c.. I Giudici di legittimità, interessati dalla vicenda, chiariscono che l’espressione “per i medesimi incombenti” non ha un significato univoco e che nel dubbio interpretativo deve essere privilegiata la lettura che consenta la prosecuzione del processo funzionale all’adozione di un provvedimento di merito. A sostegno di ciò viene infatti richiamato un recente orientamento giurisprudenziale con il quale è stato affermato il superamento “dell’assunto della inossidabile primazia del rito rispetto al merito”, aggiungendo altresì che tra più ragioni di rigetto della domanda, il giudice dovrebbe optare per quella che assicura il risultato più stabile, sicché tra un rigetto per motivi di rito e uno per regioni afferenti al merito, il giudice dovrebbe scegliere il secondo.
A cura di Elena Borsotti