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giurisprudenza

Patto di quota lite valido solo se risponde ad equità (Cass., Sez. II, Ord., 26 novembre 2019, n. 30837)

Nell’ordinanza in commento la Corte di Cassazione ha affrontato la questione sollevata da un avvocato che aveva convenuto in giudizio un cliente chiedendone la condanna al pagamento del compenso per prestazioni professionali sulla base di una pattuizione convenuta. In primo ed in secondo grado la pretesa veniva accolta solo parzialmente, riconoscendo all’avvocato il compenso nella misura corrispondente all’attività effettivamente svolta. Il Supremo Collegio, aderendo alle argomentazioni della Corte territoriale, ritiene la pattuizione vessatoria, ai sensi degli artt. 33 e 34 cod. cons. per lo squilibrio determinato nei diritti ed obblighi delle parti, essendo il cliente tenuto a corrispondere la prestazione anche in caso di revoca del difensore in corso di causa, ed in mancanza di previsione in ordine alla ripartizione proporzionale del compenso con il difensore subentrante. Il patto non chiariva, inoltre, se vi fosse una trattativa individuale per la determinazione del compenso in base alle aspettative di vittoria e al valore della causa.

Nel suo iter argomentativo, la Corte richiama l’arresto delle Sezioni Unite con la sentenza n. 25012/14, che ha qualificato il patto di quota lite come contratto aleatorio, posto che il compenso varia in funzione dei benefici ottenuti in conseguenza all’esito favorevole della lite, sottolineando altresì che «l’aleatorietà dell’accordo quotalizio non esclude la possibilità di valutarne l’equità: se, cioè, la stima effettuata dalle parti era, all’epoca della conclusione dell’accordo che lega compenso e risultato, ragionevole o, al contrario, sproporzionata per eccesso rispetto alla tariffa di mercato, tenuto conto di tutti i fattori rilevanti, in particolare del valore e della complessità della lite e della natura del servizio professionale, comprensivo dell’assunzione del rischio».

La congruità del patto di quota lite deve essere valutata anche dal punto di vista delle regole deontologiche in virtù dell’art. 45 del nuovo Cod. Deontologico Forense, che consente all’avvocato di pattuire con il cliente il compenso parametrato al raggiungimento degli obbiettivi, sempre che i compensi siano proporzionati all’attività svolta.

In conclusione, la Corte rigetta il ricorso condannando il Collega al pagamento delle spese processuali.

A cura di Costanza Innocenti