La sentenza in commento concerne la legittimità della perquisizione e sequestro eseguiti nello studio di un avvocato senza che sia pervenuto l’avviso al consiglio dell’ordine forense del luogo. La Suprema Corte di cassazione ribadisce che tali attività sono legittime quando l’avvocato risulta essere indagato. La qualifica di indagato, tuttavia, non deve coincidere con l’iscrizione formale nel relativo registro giacché spetta al giudice stabilire se, sulla base della situazione esistente, il soggetto destinatario dell’attività investigativa ricopra dal punto di vista sostanziale tale qualità; peraltro, tale valutazione, se adeguatamente motivata, sfugge al sindacato di legittimità.
Nel caso di specie, l’autorità giudiziaria stava svolgendo indagini relativamente al reato di usura ed estorsione. L’attività criminale consisteva nella contestazione agli indagati di aver prestato un finanziamento con tassi di interesse usurai. Per tale finanziamento erano stati rilasciati degli assegni a garanzia, effetti poi messi in esecuzione. Il ruolo dell’avvocato si sarebbe concretizzato proprio nell’attività di recupero del credito azionando detti titoli di credito. La perquisizione e sequestro erano finalizzati all’acquisizione di tali titoli di credito e al mandato conferito all’avvocato per l’esecuzione. Perquisizione e sequestro presso lo studio del difensore, tuttavia, non erano stati preceduti dall’avviso al consiglio dell’ordine del luogo. L’avvocato, tramite il proprio difensore, aveva impugnato il decreto di sequestro davanti al Tribunale del riesame che lo aveva rigettato. Il difensore ha quindi impugnato l’ordinanza del Tribunale in funzione di giudice del riesame davanti alla Corte di cassazione. La Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso precisando che le guarentigie di cui all’art.103 c.p.p. sono finalizzate a tutelare l’esercizio del diritto di difesa ma non trovano applicazione quando l’avvocato risulti essere indagato. Sono norme a tutela della funzione e non della persona.
A cura di Fabio Marongiu