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giurisprudenza

Procedimento disciplinare: principio attenuato di tipicità dell’illecito disciplinare e principi generali ricavabili dalla legge (Cass., Sez. Un., 25 marzo 2020, n. 7530)

Con la sentenza in commento le Sezioni Unite della Cassazione, chiamate a giudicare un ricorso contro una sanzione disciplinare inflitta dal Consiglio Nazionale Forense, hanno occasione per ricordare alcuni principi generali dettati in tema di giudizio disciplinare a carico di un professionista avvocato.

Preliminarmente, le S.U. rammentano che il C.N.F., essendo l’organo di secondo grado che ha emesso il provvedimento impugnato, ha una posizione di terzietà rispetto al procedimento e, quindi, il ricorso in Cassazione notificato anche a questo organo collegiale deve dichiararsi inammissibile.

Successivamente viene ricordato che la valutazione di merito compiuta dal C.N.F., se adeguatamente motivata, non è sindacabile nel giudizio per Cassazione. Nel provvedimento impugnato, per vero, si evince un’ampia giustificazione della gravità della condotta nonché della proporzionalità della sanzione inflitta, anche in relazione agli illeciti pregressi commessi dal professionista.

Infine, le Sezioni Unite ricordano che, fermo il principio della specificità della contestazione e della tipicità della condotta nei procedimenti disciplinari a carico degli Avvocati, rimane indubbio che “le previsioni del codice deontologico forense hanno natura di fonte meramente integrativa dei precetti normativi e possono ispirarsi legittimamente a concetti diffusi e generalmente compresi dalla collettività. Ne consegue che, al fine di garantire l’esercizio del diritto di difesa all’interno del procedimento disciplinare che venga intrapreso a carico di un iscritto al relativo albo forense è necessario che all’incolpato venga contestato il comportamento ascritto come integrante la violazione deontologica (…)”.

Conseguentemente, ove l’illecito non sia stato espressamente previsto (rectius, tipizzato) dalla fonte regolamentare, deve quindi essere ricostruito sulla base della legge (art. 3 c. 3 L. 247/2012) e del Codice Deontologico, a mente del quale l’avvocato “deve essere di condotta irreprensibile” (art. 17 c. 1 lett. h).

A cura di Devis Baldi