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giurisprudenza

Risponde per violazione dell’obbligo di diligenza l’avvocato che, in caso di dubbio interpretativo circa un termine posto a pena di decadenza, lascia decorrere il termine più breve (Cass., Sez. III, 28 settembre 2018, n. 23449)

La Suprema Corte ha confermato la decisione della Corte di Appello di Roma che aveva condannato due avvocati al risarcimento del danno subito dal proprio cliente per accertata negligenza professionale nello svolgimento del mandato conferito.

Il resistente aveva incaricato i due legali di proporre avanti al Tar un giudizio di accertamento del proprio diritto ad ottenere l’adeguamento del trattamento retributivo da dirigente. Il giudizio promosso si era però concluso con una declaratoria di inammissibilità per decorrenza del termine perentorio fissato dall’art. 45 c. 17 D.lgs 80/1998. La norma prevedeva che le controversie relative a questioni attinenti al periodo del rapporto di lavoro anteriori alla data del 30 giugno 1998 fossero attribuite in via esclusiva alla competenza del giudice amministrativo ma che le stesse dovessero essere proposte, a pena di decadenza, entro il 15 settembre 2000.

I ricorrenti assumevano che, in ordine a detto termine di decadenza si erano riscontrati divergenti orientamenti; l’uno che considerava la data del 15 settembre come termine di decadenza per la proponibilità della domanda giudiziale e l’altro che lo riteneva un limite temporale alla persistenza della giurisdizione. Aderendo alla prima tesi, i ricorrenti sostenevano di aver notificato nei termini il ricorso (il 15.09.2000), facendo salvo il diritto del cliente, mentre solo il deposito in cancelleria era avvenuto successivamente (il 20.09.2000).

I giudici di legittimità, ribadendo che l’obbligazione assunta dall’avvocato è inquadrabile nelle obbligazioni di mezzi, hanno ritenuto che, ai fini del giudizio di responsabilità è necessario valutare le concrete modalità di svolgimento dell’attività in relazione al parametro di diligenza fissato dall’art. 1176 c. 2 c.c. valutato alla stregua della diligenza del professionista di media attenzione e preparazione. Sotto questo profilo, il compimento di atti interruttivi della prescrizione rientra in attività che, solitamente, non richiedono una particolare competenza, soprattutto qualora, come nel caso in esame, non siano in dubbio tanto gli elementi di fatto in base ai quali calcolare il termine ma il termine stesso, a causa dell’incertezza della norma giuridica da applicare al caso concreto. In tali casi il professionista ben può essere chiamato a rispondere anche per semplice negligenza ex art. 1176 c. 2 c.c. e non solo per dolo o colpa grave ai sensi dell’art. 2236 c.c.

Su queste premesse il collegio ha ritenuto il motivo infondato, in quanto, pur essendo vero che il termine richiamato debba considerarsi come termine di decadenza per la proponibilità della domanda giudiziale, il principio doveva essere necessariamente coordinato dai legali con le peculiarità del processo amministrativo che registra due diverse finalità nella notificazione e nel deposito del ricorso; la prima svela la sola volontà di agire in giudizio essendo un atto preliminare all’introduzione del processo mentre è solo con il secondo che si ha il primo e necessario contatto tra il ricorrente e l’organo giurisdizionale; pertanto il deposito effettuato soltanto in data 20.09.2000 era da considerarsi tardivo.

A cura di Sofia Lelmi