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giurisprudenza

Sulla liceità del comportamento dell’avvocato che utilizza dati personali ai fini di giustizia (Cass. Sez. Un. Civili 8 febbraio 2011, n. 3033 e Cass., Sez. Un., 8 febbraio 2011, n. 3034)

Non viola il diritto alla riservatezza del cliente l’avvocato che, dopo aver ricevuto la revoca del mandato professionale, consegni all’ex assistito la documentazione per cui è stata causa ma trattenga copia di parte di essa all’unico scopo di ottenere il pagamento della propria parcella, e, quindi, ai fini della richiesta al consiglio dell’ordine di apposizione del visto di congruità sulla parcella depositata. Prevale, dunque, il diritto alla difesa rispetto al diritto alla riservatezza se la condotta posta in essere dall’avvocato sia strettamente funzionale all’esercizio del proprio diritto.
Inoltre, i dati personali sono sempre utilizzabili dal legale a fini giudiziari; in tal senso, non è configurabile alcuna violazione della disciplina sulla privacy nel comportamento dell’avvocato che, in un giudizio civile, notifica a terzi un ordine di esibizione di documenti emesso dal giudice e, assieme ad esso, in conformità a quanto disposto dal giudice stesso, alcuni verbali di udienza che contengono dati personali della controparte.
Questo hanno chiarito le Sezioni Unite civili con due sentenze del 8 febbraio 2011, n. 3033 e 3034. Con queste due pronunce i giudici della Corte hanno affrontato un argomento comune, ossia quello della previsione legislativa di deroghe alla disciplina della privacy per motivi di giustizia. Ed hanno in definitiva statuito che, nell’ambito di un processo, la tutela della riservatezza deve necessariamente essere contemperata con la tutela di una corretta esecuzione del processo.

A cura di Graziella Sarno