E’ stato chiesto se è consentito ad un avvocato, che è stato il legale di due coniugi durante il loro rapporto matrimoniale e che ha difeso entrambi individualmente in cause civili e penali, dopo l’avvenuto grave deterioramento dei rapporti tra i medesimi sfociato in una causa di separazione giudiziale molto aspra, di cui l’avvocato non si è interessato per alcuna delle parti, di assistere contemporaneamente in due processi penali distinti i due coniugi stessi e più precisamente, in forza di mandato difensivo conferito nel Marzo 2007, la moglie in un procedimento penale per falsità in scrittura privata tuttora pendente e il marito, invece, in forza di mandato difensivo conferito in data 2 Dicembre 2008, in un procedimento penale anch’esso tutoria pendente e originato da una denuncia di maltrattamenti che è stata sporta proprio dalla moglie, la quale si è costituita anche parte civile in detto procedimento penale.
Il Consiglio dell’Ordine, ha precisato che l’articolo 37 del Codice Deontologico prevede che l’avvocato ha l’obbligo di astenersi dal prestare attività professionale quando questa determini un conflitto con gli interessi di un proprio assistito o interferisca con lo svolgimento di altro incarico anche non professionale, con la precisazione che il conflitto di interessi sussiste anche nel caso in cui l’espletamento di un nuovo mandato determini la violazione del segreto sulle informazioni fornite da altro assistito, ovvero quando la conoscenza degli affari di una parte possa avvantaggiare ingiustamente un altro assistito, ovvero quando lo svolgimento di un precedente mandato limiti l’indipendenza dell’avvocato nello svolgimento di un nuovo incarico, nonché con l’ulteriore precisazione che l’obbligo di astensione opera pure se le parti aventi interessi confliggenti si rivolgano ad avvocato che siano partecipi della stessa società di avvocato o associazione professionale o che esercitino negli stessi locali.
L’art. 51 del Codice Deontologico prevede, invece, che l’assunzione di un incarico professionale contro un ex-cliente è ammessa solo quando sia trascorso almeno un biennio dalla cessazione del rapporto professionale e l’oggetto del nuovo incarico sia estraneo a quello espletato in precedenza, fermo restando in ogni caso il divieto di utilizzare notizie acquisite in ragione del rapporto professionale già esaurito.
Nella fattispecie in esame l’incarico è assunto non contro un ex-cliente, bensì contro un attuale cliente, ragione per cui si applica il disposto dell’art. 37, ma il contenuto dell’art. 51, che si riferisce ad un incarico assunto contro un ex-cliente, è molto significativo per far comprendere come, a maggior ragione, costituisca un comportamento deontologicamente censurabile agire, appunto, se pur in un giudizio diverso, contro un cliente attuale.
Risulta, altresì, ovvio che mentre la ratio delle disposizioni dell’art. 37 e della seconda parte dell’art. 51 è sostanzialmente quella di evitare che l’assunzione di un incarico contro un ex-cliente possa comportare l’utilizzo di informazioni acquisite in virtù del precedente incarico, la ratio della disposizione della prima parte dell’art. 51, che prescinde dal concreto utilizzo di eventuale informazioni acquisite nel corso del precedente incarico, deve essere individuata anche nella tutela dell’immagine e del decoro della professione forense, ritenendosi non decoroso né opportuno che un avvocato assuma contemporaneamente e/o senza che, comunque, sia decorso un intervallo di tempo adeguato (fissato in due anni) la difesa di un soggetto contro un altro soggetto, di cui sia pure difensore (o sia stato difensore), se anche in un processo diverso.
Nel caso di specie l’avvocato, assumendo il mandato di difendere il marito nel procedimento penale promosso dalla moglie, costituitasi parte civile nel procedimento penale contro il marito stesso, ha quindi violato l’art. 37 del Codice Deontologico sia nei confronti del marito che della moglie.
Trattandosi di una norma dettata a tutela degli interessi del cliente, si può ritenere che, per quanto riguarda il marito, vi sia il consenso espresso e informato del marito medesimo che potrebbe escludere l’illecito, ma per quanto riguarda la moglie tale consenso certamente non è ravvisabile e, comunque, rimane la questione della lesione dell’immagine e del decoro della professione forense, che vale per il mandato ricevuto (contemporaneamente) da entrambe le parti.
L’avvocato per non persistere in una condotta deontologicamente scorretta dovrà, quindi, certamente rinunciare quanto prima al mandato conferitogli dal marito, conseguendo, peraltro, nel contempo dal marito medesimo l’espresso consenso a poter continuare ad assistere la moglie nell’altro processo, sempre che quest’ultima lo voglia.
Peraltro, in realtà, in una fattispecie di questo tipo, la soluzione più opportuna per l’avvocato sotto il profilo deontologico, stante la situazione che si è venuta a creare, sarebbe quella di rinunciare anche al mandato difensivo ricevuto dalla moglie, se possibile concordando con quest’ultima l’effet-tuazione di tale rinuncia, anche al fine di non pregiudicarne la difesa
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