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giurisprudenza

L’omessa risposta all’invito dell’U.G. di indicare ulteriori beni utilmente pignorabili, consuma sempre il reato di cui all’art. 388, comma 8 c.p. (Cass. Pen., Sez. VI, 8 novembre 2019, n. 44895)

Nel caso portato al vaglio del giudizio di legittimità, l’imputato era stato condannato in entrambi i gradi di giudizio ai sensi dell’art. 388 comma 8 c.p. perchè, invitato dall’ufficiale giudiziario ad indicare cose o crediti utilmente pignorabili, ometteva di rispondere all’invito nel termine di 15 giorni previsto dall’art. 492 comma 4 c.p.c.

L’imputato proponeva quindi ricorso asserendo di non aver fatto la dichiarazione perchè comunque questa sarebbe stata negativa e che, pertanto, anche qualora l’avesse fatta, non avrebbe portato alcuna utilità all’esecuzione promossa dal creditore.

La sesta sezione penale della Cassazione, chiamata a decidere la questione, censura il motivo ricorso, per gli effetti confermando le decisioni dei giudici del merito.

Sull’imputato infatti gravava l’obbligo di fornire una risposta agli U.G. sotto due aspetti:

– da un punto di vista penalistico, qualora si seguisse la tesi dell’imputato si giungerebbe alla inaccettabile conseguenza di spostare ad un momento temporalmente successivo la consumazione del reato in esame, la quale sarebbe così subordinata ad un ulteriore impulso del creditore teso a promuovere successivi accertamenti patrimoniali al fine di verificare se la mancata risposta del debitore fosse sintomo, o meno, di una totale incapienza dei beni utilmente pignorabili;

– da un punto di vista civilistico, poi, l’omessa risposta farebbe venir meno la ratio della norma ex art. 492, c. 4 c.p.c., che consiste nell’evitare inutili ritardi nella individuazione dei beni assoggettabili alla pretesa del creditore procedente, anche al fine di permettergli di azionare la ricerca dei beni con modalità telematiche ai sensi dell’art. 492 bis c.p.c.

In sostanza, la dichiarazione che il debitore deve rilasciare all’U.G. è tesa a tutelare l’interesse del creditore alla effettività della procedura esecutiva ed impone al debitore esecutato un vero e proprio dovere di collaborazione.

Quindi tanto la falsa dichiarazione quanto l’omessa dichiarazione (o la dichiarazione comunque incompleta) nel termine dei 15 giorni concessi dal codice di rito, rappresentano il momento consumativo del delitto in esame che, essendo costruito come reato di pericolo, non richiede che il creditore procedente abbia effettivamente subito un danno.

 

A cura di Devis Baldi